La montagna simbolo dominante dell’ambiente umano valtellinese

Articolo pubblicato il 10/04/1976 con titolo a sei colonne

Da un po’ di tempo in Valtellina, seguendo la spinta della società italiana in rapida trasformazione, ma anche turbata da profonde crisi sociali, si è intensificata da parte di Associazioni ed Enti Culturali un’azione volta a fermare il “depauperamento e decadimento dell’ambiente sotto lo specifico profilo sociale”. Così almeno qualcuno si è espresso in un documento diffuso a tutte le Associazioni ed Enti locali. Indubbiamente queste associazioni hanno una loro funzione e una loro utilità ma a volte, prese da sacro zelo e assillate dalle istanze politico-sociali delle città non tengono in giusta misura la logica della montagna. Non suoni quindi di rimprovero o di accusa quanto dirò, ma semplicemente di richiamo, perché quei valtellinesi, che veramente si sentono tali, e che sono culturalmente impegnati, sappiano dimenticare per un attimo le forti influenze esterne. Occorre ripensare, meditare con calma  e con l’introspezione tipica del carattere della nostra gente per riscoprire i valori autentici della montagna.

Si è parlato spesso di decadimento sociale in Valtellina, di disgregazione dell’ambiente culturale, evidenziato ad esempio da una demolizione frettolosa dell’antico patrimonio edilizio. E’ in parte vero ma ciò va visto nella sua reale misura che, ben lungi dall’essere una riproduzione del caotico costruire metropolitano ne è però stato contagiato. I risultati spesso negativi di tale contagio assumono però forme diverse e hanno, a volte,  una loro validità. Ciò semplicemente per le peculiari caratteristiche dell’ambiente, per il carattere della gente, operosa, calma, non priva del senso del bello, conservatrice nata, con l’abitudine all’attesa, saggezza espressa nel vecchio detto “Lasar temp al temp” O forse è il risultato di una simbiosi tra l’uomo e la montagna che vive con un tempo diverso: i suoi giorni sono i nostri millenni. Ogni cosa, ogni fatto, va quindi visto alla specifica luce dell’ambiente, cogliendo le differenze profonde esistenti fra città e montagna. Allora anche il termine “decadimento sociale”  assume significati diversi se riferito alla città o alla vita di valle. Vediamone alcuni punti qualificanti.

Abitazione

Il concetto abitativo della montagna è sempre stato  legato alla famiglia, anche nel raggrupparsi di case intorno alla “corte”, dettato da esigenze di difesa e di economia di spazi non vi è nessun parallelo o somiglianza all’idea condominiale cittadina. Il valtellinese è legato alla terra, alla proprietà, al focolare e preferisce la “baita” propria al comodo appartamento in condominio. In questo senso va intesa la moderna tendenza delle genti di montagna a costruirsi la casa sul proprio terreno, magari fuori dal nucleo urbano in una giusta tendenza al miglioramento delle condizioni igienico abitative. L’allinearsi di case lungo le strade provinciali e statali non ha un carattere speculativo o di disgregazione sociale  e non intacca il senso comunitario del paese. E’ interessante notare come quasi sempre queste case siano costituite da due o tre appartamenti per accogliere i figli con le rispettive famiglie. La conoscenza personale, il contatto umano degli abitanti di una zona, anche nel raggio di alcuni chilometri, elimina il pericolo di una alienazione che invece si è creata e si crea nei grandi condomini e agglomerati di case dove gli abitanti non si conoscono da una porta all’altra. La gente di montagna si conosce l’un l’altro e fa riferimento a tizio o a caio non tanto al nome ma al luogo di residenza o allo “scutum”di famiglia (1) Pure i nomi delle località sono dialettali e diffusissimi. Basta guardare le mappe catastali che li riportano che rendersi conto che non esiste superficie superiore all’ettaro senza avere un suo particolare nome locale. Per citare un esempio illustre il padre di Pier Luigi Nervi era conosciuto come il pittore che abitava alla “folla” (2) in Sondrio. Non voglio soffermarmi sull’ opera artistica e poetica del grande architetto Sondriese che pure offrirebbe ampi spunti di meditazione, per l’influenza che la sua infanzia, vissuta fra le montagne, ha avuto nella sua opera. Ritornando invece al sistema abitativo valtellinese occorre ribadire che la “casa” intesa in termini condominiali o coopertivistici, se ha una sua validità, specialmente economica, in città, in una popolazione che ama la terra, è di impedimento alla continuazione di quel pittoresco modo di vivere a contatto con la natura che non solo è socialmente valido ma che sta alla base di tutta la cultura, l’arte e il folklore della Valtellina. Qui si potrebbe inserire tutta una problematica sulla inadattabilità e inconciliabilità dei piani regolatori concepiti per legge su schemi e modelli cittadini. Questo è però un aspetto marginale del mio discorso e che interessa principalmente gli amministratori.

Terra – famiglia – lavoro

Da questo trinomio l’ambiente umano e culturale della Provincia di Sondrio trae la sua profonda radice. Per quanto strano possa sembrare è proprio dal legame di questi tre elementi, dalla loro interdipendenza che deriva tutta la tradizione, la leggenda e l’arte locale. Si può dire che ogni valtellinese, figlio di valtellinesi (escludendo cioè la popolazione di recente immigrazione) è proprietario di almeno un orto o un campo o un bosco. Tutti cioè, quasi per tradizione hanno, sia pure a livello di hobby, una seconda attività a carattere agricolo. I dati in proposito sono assai eloquenti. In provincia di Sondrio su 160.000 abitanti esistono ufficialmente 23.000 aziende agricole ma le intestazioni catastali sono ben 128.000 delle quali 78.000 con un unico proprietario e le altre con più proprietari per un totale di 565.000 proprietà. (Ciò significa che mediamente ogni cittadino ha più di tre partite catastali). Il dato apparentemente assurdo si spiega con le numerosissime comproprietà familiari per le successioni non seguite dalla divisione dei beni.) Sono cifre riferite al 1948 ma l’andamento negli anni successivi è di aumento delle proprietà e non di diminuzione. Tali dati, già estremamente significativi assumono una rilevanza ancora maggiore se si considera che ogni proprietà è costituita mediamente da 10 appezzamenti.  Si pensi che il 93% del territorio è bosco, pascolo e terreno di media e alta montagna e di conseguenza ci si rende conto di quanto il frazionamento sia stato fatto anche per i terreni più poveri. Esiste inoltre nell’ambito di ogni proprietà indivisa un ulteriore frazionamento familiare, dei terreni in comproprietà, non rilevabile catastalmente. Perché questo? Perché la terra come proprietà individuale è un elemento emblematico per il valtellinese. In questo termine “terra” è racchiuso e sintetizzato ogni elemento vitale ed esistenziale. Terra significa genesi, sostentamento, proprietà come affermazione sociale dell’individuo, famiglia, vita. Come ebbi a scrivere in un racconto (3) parlando dei vigneti a terrazzo in Valtellina, realizzati nel corso dei secoli, si vede il lavoro di intere famiglie. ”  … e i bambini con le mani sporche di terra mangiavano polenta e terra”. Questa schiavitù materiale, questa miseria che si protrae da secoli è l’elemento che sublima e  rende ingegnosa, tenace, equilibrata, sobria questa gente di montagna. Vorrei qui ricordare la continuità dei legami del valtellinese con le origini antropozoiche  come dimostrano le recenti scoperte del Gruppo Archeologico Tiranese. Inoltre, un’ attenta analisi della storia antica e medioevale evidenzia come scarsa sia stata la mescolanza di sangue nonostante le continue e pressanti occupazioni straniere. Ritornando al discorso originario, parlando cioè dell’influenza della terra, intesa nei suoi molteplici significati, sull’arte e sulla cultura locale non si può non ricordare Salvatore Quasimodo. Impiegato al Genio Civile di Sondrio conobbe per mestiere e intuì profondamente per vocazione poetica questi problemi, esternandoli con mirabile potenza nelle sue poesie dedicate alla Valtellina come “La dolce collina” “Sera nella valle del Masino” “Presso l’Adda”. Anche se non espressamente dedicati a questa terra chi mai può avergli ispirato i suoi più famosi versi? /Ognuno sta solo sul cuor della terra/ trafitto da un raggio di sole/ ed è subito sera/

Non si può parlare di cultura, né di arte né di urbanistica né di politica in Valtellina se non si conosce o non si comprende appieno questo misterioso soffio poetico che spira nei nostri boschi, questa invincibile forza mistica e primitiva che è rimasta, nonostante tutto, in fondo al cuore di ogni valtellinese. Come ben dice Renzo Sertoli Salis “C’è una calma felice, sconosciuta al cittadino della metropoli, con la fretta, coi rumori, coi miasmi di questa, la saggia lentezza dei bottegai che si soffermano a parlarvi del fatto del giorno[…]e poi ancora è bello e semplice e mistico il passo lento delle vecchie beghine che vanno in chiesa al mattino”

E’ facile intuire come in tali situazioni ambientali il lavoro assuma un carattere personale, artigianale e artistico. Una lotta per la vita condotta non contro l’uno o l’altro schema sociale ma a favore della società dove però primeggia la famiglia. Nasce una tradizione di lavoro che da, non solo all’artigianato, ma anche ai lavori più umili e all’agricoltura una componente artistica, una sublimazione del lavoro stesso trasformandolo in una gioiosa manifestazione di vita. Questa gente abituata da sempre a conoscere lo Stato non come elemento coordinatore delle attività umane ma come predatore delle risorse naturali e dei beni personali (dalle contese fra Grigioni, Spagna, Austria, Francia via via fino al moderno defraudamento dell’acqua e alle recenti statistiche reddito-tasse pro capite) ha nel sangue, come logica di sopravvivenza, l’unità familiare, il focolare domestico, la proprietà della terra e il risparmio.

Terra povera dunque, povera di beni materiali, ma ricca di idee e di uomini illustri; da Torelli a Credaro a Vanoni nella politica; da Reganzani a Bertacchi a Damiani nella poesia; da Caimi a Ligari a Valorsa nella pittura; solo per citare alcuni grandi. Mi piace anche credere, come dice qualche leggenda metropolitana, che anche Shakespeare sia di origine valtellinese. Ora verrò accusato di fare della cultura valtellinese una torre d’avorio. Ma semmai, se di torre si tratta, è una torre di graniti, di gneiss, di quarzi, di ghiacciai e di acque limpide dove la cultura vive e respira meglio che non fra masse ondeggianti delle manifestazioni di piazza o fra le velenose acque del Lambro. Ecco perché parlare, come qualcuno ha fatto, di popolazioni inchiodate al mito della piccola proprietà contadina, per distruggere in nome della cultura tale mito come fosse un anacronistico tabù è quanto di più anticulturale si possa fare. Significa tentare di inserire, in un mondo che ne è alieno, i mali emarginanti della società moderna. Così il problema dell’associazionismo, indispensabile in città, dove la rumorosa solitudine dell’Uomo può essere rotta solo da fatti di vita comunitaria non si pone da noi. Si tratta caso mai solo di pura esigenza pratica-organizzativa, nel silenzio delle montagne che è un dialogo continuo fra uomo e uomo, fra l’uomo e la natura. La vita comunitaria in Valtellina non si è mai espressa in pubblicizzate forme associative, né in grandiosi complessi cooperativistici, ma non si può dire che essa non esista. Dai ritrovi nelle stalle delle passate generazioni (chi non ha sentito le storie  e le leggende che venivano raccontate nelle sere d’inverno nella stalla più grande della contrada dove si radunavano tutti?), allo scambio di notizie e di commenti sul sagrato della chiesa, alle interminabili discussioni delle donne coi bottegai, alle vivaci e festose sagre e fiere paesane. La vita comunitaria della valle si esprime in un continuo intreccio di rapporti personali, di amicizie profonde, di conoscenza dei problemi e degli affanni del vicino, che sfocia a volte anche nel pettegolezzo, senza però perdere mai la comprensione, l’umanità e la generosità tipiche dell’uomo di montagna. La mancanza di associazioni che stilino cattedratici documenti non ha mai impedito al valtellinese di recepire e intuire gli interessi comuni, dalla semplice costruzione di una mulattiera, realizzata sasso per sasso con una entusiasmante gara di compartecipazione, e via via ai problemi più grandi e più squisitamente politici come il memorabile Sacro Macello del 1620.

Conclusioni

Il moderno sviluppo dell’attività umana, pur in ritardo rispetto alle zone industriali, ha sostanzialmente cambiato il modo di vivere, inoltre, l’aumento della popolazione immigrata dalle altre province (dovuto soprattutto all’aumento della burocrazia) modifica costantemente i modelli di vita nella valle e ripropone gli stessi problemi irrisolti della società moderna. Ma per salvare i valori umani e culturali della nostra terra non bisogna ricorrere a metodologie estranee, bensì tenere presente i concetti basilari sui quali vive e si sviluppa culturalmente la gente della montagna, diffidente, come il buon Renzo, degli azzeccagarbugli di città. La fierezza e la dignità del montanaro che rifiuta, magari inconsapevolmente, ma proprio per questo con maggior forza, di diventare un numero in una società alienata ed alienante è la maggiore garanzia della salvaguardia dei valori della gente di montagna. Ogni intrusione e ogni metodologia basati su schemi cittadini, anche se di per se validi, possono divenire traumatici ed elementi disgreganti per la cultura autoctona.

L’assessore Sonzogni, in un incontro con le autorità locali della provincia di Sondrio, tenutosi a Bellano il 10/04/1974 ebbe a dire: “State attenti a che non dobbiate pentirvi quel giorno che avrete la superstrada 36” Forse in questo senso aveva ragione, aveva capito i valori della montagna. Ma non tema,  perché rimane l’ingegno, la tenacità la caparbietà del valtellinese. Il valtellinese viene dalla terra, come il suo vino. Al primo assaggio è aspro, chi viene da fuori per gustarlo, deve adattarsi ai cibi valtellinesi e rinunciare ai sofisticati cibi della città.

Renato Soltoggio

Note:
(1)” Scutum” :  In dialetto: soprannome
(2) “folla” Termine toponomastico frequente in tutta la Valtellina in origine significa mulino
(3) Dal “Corriere della Valtellina 05/12/1970 “La pazienza pazza”
Bibliografia
Lina Rini Lombardini – In Valtellina colori, leggende e tradizioni
Renzo Sertoli Salis – Siparietto valtellinese
Banca Popolare di Sondrio – L’ambiente culturale e umano della Provincia di Sondrio
Stefano Iacini – Pubblicazione della BPS – 1963

Info su Renato Soltoggio

Renato Soltoggio nato a Tirano il 23maggio 1941
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