Analogie

ANALOGIE
(Articolo di fondo 06/11/1976)

Era ormai convinzione comune che il dissolversi dello Stato, l’incapacità di difendere il cittadino dai soprusi e dalle violenze, l’insicurezza delle strade, il continuo aumento della pressione fiscale, la burocrazia sempre più elefantiaca per cui i funzionari pubblici e chi viveva sulle tasse erano ormai diventati più numerosi di chi doveva pagarle, fosse dovuto all’estrema corruzione della classe politica romana.
Come era convinzione comune che una diversa struttura politica potesse rinnovare la società, ma che per far ciò fosse necessario ricorrere a sangue nuovo, ad uomini non contaminati dal potere, uomini la cui cultura, primitiva e rivoluzionaria, avesse un senso di immediatezza, di una giustizia più semplice e comprensibile,  più vicina alle classi popolari, anche se in un certo senso  più barbara, ma proprio per questo, forse più genuina. Nonostante i timori che la nuova politica fosse incapace a risolvere i problemi economici, come dimostrava il basso tenore di vita dei paesi di provenienza, ciò che importava  era la speranza che questa nuova cultura, venendo da un mondo esterno, con una vitalità e una forza prorompente, con una fiducia illimitata nel proprio potere, con una dichiarata sicurezza, con una concezione di vita basata più sulla lotta che sullo “jus”, potesse spazzar via tutte le pastoie, i difetti, la corruzione e l’ingiustizia della civiltà romana-occidentale.

Forse qualcuno pensa che sto parlando in termini arcaici dell’ attuale situazione politica italiana. Sgombriamo subito il campo da un simile errore. Questa, secondo gli storici, era la mentalità degli italici nel quinto secolo dopo Cristo. Né intendo dire che la storia possa ripetersi. La storia non si ripete ma semmai presenta delle analogie per chi le sa e le vuol cogliere.

Le più attente analisi storiche dimostrarono quanto questa mentalità fosse errata e che i barbari “puri e non contaminati dal potere” erano altrettanto se non più corrotti e corruttibili dei Romani e che, anzi, la vecchia classe politica aveva conservato la sua dignità e la sua saggezza e che seppe morire e ritirarsi dalla vita politica, come Cassiodoro, dopo aver fatto l’ultimo tentativo di salvare una civiltà e non chiudendosi in cieco conservatorismo ma tentando di conciliare i valori umani con l’irruenza di una nuova concezione di vita emergente. Né i barbari più avveduti pretesero di cancellare di colpo questi valori, ma con questa società che crollava economicamente e politicamente, Teodorico, da intelligentissimo barbaro qual era, realizzò il primo compromesso storico. Non avocò a se interamente il potere, lasciò vivere il Senato Romano, si avvalse per governare della vecchia classe politica e di uomini di sangue romano come Cassiodoro. Questo tentativo di osmosi sociale morì con lui ed ebbe poi il sopravvento il “richiamo della foresta” quella concezione politica primitiva che affascinava i poveri, nella convinzione di non aver nulla da perdere, e che proveniva da oltre quella “cortina di ferro” che era il “limes” romano. Nel frattempo i partiti politici, capeggiati dai vari Festo e Fausto si perdevano in sterili polemiche, mentre altri movimenti di ispirazione più o meno barbarica, forti della loro verginità politica, mostrando le loro mani pulite dalla corruzione, anche se macchiate di sangue per le purghe fratricide, andavano assumendo sempre più potere al di fuori dei canali istituzionali, demolendo ogni potere senza nulla costruire. Del resto non si poteva negar loro un ideale di giustizia e di lotta a favore del popolo, di anticipare nel tempo un’idea di tipo sindacale ispirata all’esempio e al ricordo del grande Stilicone che aveva basato la sua lotta a favore delle classi meno abbienti.

Nello stesso periodo, per sopperire alla lentezza burocratica e all’ incapacità del governo centrale, nacquero le prime istanze di autonomia locale e di decentramento politico, ma ahimè, ben lungi dall’eliminare i difetti originari, le comunità locali assommarono a questi l’inesperienza politica e le piccole beghe campanilistiche, lasciando ampi spazi a chi mirava, più o meno consapevolmente, ad un sovvertimento dei valori, ad instaurare, sulle macerie del diritto romano occidentale, una politica basata su un nuovo modello di sviluppo di concezione barbarica. Illusione, sempre presente in tutte le rivoluzioni, di raggiungere la giustizia e l’equità con l’eliminazione fisica degli uomini al potere.

Né la Chiesa si oppose, ma anzi, larghi strati del clero, giustificando a volte anche la violenza, favorirono l’avvento del nuovo potere, nella speranza di convertire i barbari, credendoli più docili, più capaci di una fede incontaminata dalle ricchezze e dal benessere borghese.

Fu un decadimento lento ma continuo ed ineluttabile, culturale prima che politico, proprio perché basato su una nuova mentalità che durò alcuni secoli e della quale, pur nell’incapacità di risollevarsi, ben se n’avvide la classe politica romana che seppe dare fulgidi esempi di rettitudine disconosciuti e sommersi  dall’unanime coro di accuse e che seppe morire con un “sorriso di martirio” come sul “santo viso di Boezio”.

Non così la gente italica che,  meno perspicace del pappagallo di Petronio, non seppe intravedere minimamente il futuro di una società che distruggeva ogni antico valore e ogni tradizione per ispirarsi a nuove e rivoluzionarie dottrine.

Dopo di che si ebbero i “Secoli bui della Storia”

Renato Soltoggio

Info su Renato Soltoggio

Renato Soltoggio nato a Tirano il 23maggio 1941
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