Problemi idrogeologici della Provincia di Sondrio

Articolo pubblicato il 16/10/1976 con titolo a cinque colonne

La siccità distrugge l’80% del raccolto in Francia . La pianura Padana senza acqua -I capi di bestiame vengono abbattuti per mancanza di foraggio. Questi alcuni titoli di giornali apparsi nell’estate scorsa. Al limite di un disastro agricolo per la siccità la tanto sospirata acqua finalmente venne; e con essa le alluvioni. In quest’ annata così disgraziata per molte zone d’Italia e d’Europa, in un clima di sgomento e di impotenza per le scosse telluriche, la Valtellina che sembrava pressoché indenne, ha subito per le recenti piogge persistenti la quasi totale distruzione del raccolto viticolo. Se la siccità, grazie alle riserve idriche delle nostre montagne è passata quasi inosservata, salvo qualche blanda “grida” dei sindaci per limitare il consumo di acqua, e la minor produzione di foraggio era stata abbastanza sopportabile per l’economia valtellinese, i recenti danni dovuti alle piogge persistenti ci riconfermano come la Valtellina, al pari e forse più di altre zone d’Italia sia soggetta a gravi pericoli ambientali e ai capricci metereologici. Non dimentichiamo che negli anni passati le alluvioni dell’Adda e dei suoi affluenti, la grandine, le frane e le valanghe hanno spesso provocato danni ingenti e purtroppo anche numerose vittime. La lotta fra l’uomo e la natura è sempre stata molto aspra sulle montagne ma il montanaro non si è mai piegato alle calamità; da esse ha sempre tratto insegnamento per prevedere le future difficoltà e attenuarne gli effetti negativi.

Non è perciò superfluo fare alcune considerazioni di carattere ambientale per inquadrare e approfondire il problema al fine di evitare errori umani, troppo spesso concausa delle “imprevedibili'” calamità. Una prima osservazione va riservata al fatto che, contrariamente al solito, quest’anno alla fine di settembre, le dighe non erano ancora piene. Così l’acqua caduta su alcune migliaia di Kmq. è stata trattenuta diminuendo gli effetti della recente alluvione.

L’approvvigionamento idrico

E’ noto che la nostra provincia non ha mai avuto problemi di approvvigionamento idrico. La configurazione montuosa del territorio con i suoi quasi 200 ghiacciai per un’estensione di oltre 100 Kmq. ha sempre garantito una continuità di flusso nelle numerosissime sorgenti. Ogni alpeggio, ogni paese, ogni gruppo di case ha sempre potuto contare sulla sicurezza di avere quell’elemento indispensabile alla vita che è l’acqua. Ma i ghiacciai, detti anche in gergo popolare “nevi eterne” stanno dimostrando di non essere eterni. Il loro ritiro è costante da oltre cento anni; in alcuni casi si sono avuti ritiri di oltre due chilometri e nell’ultimo decennio il fenomeno si è notevolmente accentuato. Chi è salito quest’anno su alcuni ghiacciai è rimasto impressionato dal rapido ritiro che prelude forse, se non ad una scomparsa imminente, quanto meno ad una riduzione tale da annullarne la funzione di inesauribile riserva idrica. Il ghiacciaio Viola si è ritirato quest’anno di quasi 200 metri. Mentre pochi decenni or sono i ghiacciai scendevano con le loro lingue fino a 2500 metri di quota ora si sono tutti ritirati sopra i 3000 metri. Si è creata così una larga fascia di terreno non più coperta dal ghiaccio, un terreno instabile, morenico, che non è in grado di trattenere l’acqua piovana, un terreno cioè facilmente soggetto a frane e smottamenti. Questa zona va guardata e studiata attentamente e, non meno dei boschi, va protetta con le necessarie sistemazioni idrauliche per difendere l’ambiente sottostante.

Ritornando al problema dell’approvvigionamento idrico sia per l’agricoltura che per il fabbisogno umano si impone, sia pur in tempi non pressanti, di guardare al futuro con occhio vigile onde non trovarsi impreparati ad un’ eventuale carenza di acqua in Valtellina.

Acqua e dighe

Certo l’uomo non può cambiare il clima, far nevicare in montagna o allungare i ghiacciai ma il discorso non è poi così assurdo come può sembrare a prima vista. In Valtellina le dighe idroelettriche hanno una capacità totale di diverse centinaia di milioni di metri cubi d’acqua che costituisce pur sempre una discreta riserva idrica. Come tutti sanno, l’acqua eccedente è accumulata durante il periodo primavera – autunno per essere poi utilizzata durante l’inverno. All’inizio della primavera le dighe sono normalmente vuote. Un minor utilizzo di acqua durante il periodo invernale potrebbe costituire una valida riserva idrica per irrigazione in caso di anomale siccità primaverili o estive. Analogo ed inverso ragionamento può valere per diminuire gli effetti negativi delle piene autunnali, evitando di colmare le dighe e quindi avere la possibilità di trattenere una certa quantità d’acqua quando si verificano nei mesi di ottobre e novembre delle piogge, prodotte da vento di scirocco, sui ghiacciai. Voglio ricordare a questo proposito l’alluvione del settembre 1962 che recò notevoli danni a Sondrio, Berbenno e Morbegno.. Nonostante la stagione avanzata il vento di scirocco fece piovere anche ad alta quota e provocò un rapido scioglimento delle nevi. Le dighe, già piene al limite, non poterono trattenere un solo litro d’acqua. Se mi è permessa un piccola nota di cronaca vorrei segnalare che mai come in questa occasione è stato osservato un così notevole residuo di polveri rosse, evidentemente di provenienza del Sahara. Ben mi rendo conto della complessità del problema e che qualche tecnico dell’ENEL o dell’AEM potrebbe forse sorridere di queste “inutili fantasticherie” e far notare che quest’anno le dighe non si sono neppure riempite, senza contare poi che il rinunciare a produrre energia elettrica, con conseguente aggravio per le centrali termo-elettriche, in questo periodo in cui il costo del petrolio incide in modo notevole sull’economia italiana, può lasciare dei legittimi dubbi. E mi troverei subito in torto. Tanto più che, fin dal tempo di Giulio Cesare, i “barbari della periferia dell’impero” hanno sempre versato, senza reclamare, il loro contributo per la magnificenza della Capitale. E chi è più lontano ignorato e sfruttato di noi valtellinesi?

A parte gli scherzi, ciò che sembra utopistico oggi, può forse diventare conveniente o magari dura necessità domani. Si tratta di guardare con occhio staccato dai singoli interessi. Al di la e al di sopra del dato statistico sulla produzione elettrica od agricola, sulla produzione di beni di consumo o di investimento che siano, esiste l’uomo nella sua completezza, dimenticato il quale, ogni concetto di produzione o di benessere perde ogni significato, diventa una parola vuota in un meccanismo che tende a degenerare e a precipitare in posizioni involutive della società.

L’irrigazione in Valtellina

Attualmente gran parte dell’irrigazione di fondo valle avviene tramite roggie con acqua prelevata dagli imbocchi e dalle finestre dei canali idroelettrici. Quando a suo tempo la costruzione delle opere idroelettriche rese asciutto il letto dell’Adda e di conseguenza impossibile il prelievo diretto di acqua, le società idroelettriche concessero ai Comuni a ai consorzi irrigui il prelievo di acqua dalle condotte in ragione di 2 litri/sec. per ettaro. Quest’acqua teoricamente più che sufficiente anche nei periodi di siccità, risulta spesso essere scarsa a causa della dispersione dovuta al notevole frazionamento dei terreni e per la difficile manutenzione dei canali sui terreni ghiaiosi del fondo valle. E’ evidente, data l’esiguità del territorio, che l’aumento di tali portate, anche in misura esuberante, ha rilevanza pressoché nulla sull’approvigionamento idroelettrico, mentre potrebbe essere di notevole aiuto per l’economia agricola valtellinese. Non si può comunque, a proposito di irrigazione, ignorare il grosso merito degli amministratori e dei politici valtellinesi per la realizzazione dell’impianto plurirriguo dei vigneti da Tirano a Sondrio, eseguito dal B.I.M. con finanziamenti del FEOGA. Un’opera che precorre i tempi per la sua validità, razionalità ed estensione di superficie interessata da un unico impianto. L’obiettivo deve evidentemente essere quello di coprire tutta la superficie agricola valtellinese con impianti analoghi rapportati alle esigenze e alla grandezza delle singole zone.

Fiumi, torrenti e cave

Mi è capitato spesso di leggere delle furiose invettive contro le cave di ghiaia e di sabbia nel letto dei fiumi. A seguito di tali polemiche una recente legge regionale ne ha regolato lo sfruttamento ponendo vincoli, per lo più burocratici, che ne rendono costosa l’estrazione. L’accusa è di alterare l’assetto idrogeologico dei fiumi causando la distruzione degli argini con conseguenti alluvioni. E’ bene precisare il problema perché se ciò è indubbiamente vero per i fiumi nelle zone di pianura è cioè per gli emissari dei grandi laghi alpini che non trasportano più materiale alluvionale, il discorso cambia radicalmente per i fiumi ed i torrenti in zone di montagna. Se esaminiamo infatti il corso dell’Adda vediamo che nelle zone in cui la valle diminuisce di pendenza si hanno dei notevoli depositi alluvionali. Le zone principali sono: la piana di Lovero, di Stazzona, di Tresenda, di S. Giacomo e di Berbenno. Poiché nell’alta valle la pendenza media dell’Adda è di oltre il 4% ed il fiume corre senza arginature si ha una notevole erosione. Il materiale alluvionale, notevolmente aumentato dai numerosi torrenti immissari, va a depositarsi in queste zone pianeggianti innalzando costantemente il letto del fiume. L’estrazione di ghiaia e di sabbia in queste zone diviene assolutamente indispensabile per mantenere l’equilibrio evitando l’innalzamento dell’alveo oltre il piano di campagna. Semmai una responsabilità di alterazione idrogeologica va riportata ancora una volta all’esistenza delle opere idroelettriche. Infatti i lunghi periodi in cui l’Adda rimane completamente asciutto, alternati alle piene improvvise determinate dalle esigenze di produzione di energia elettrica, rendono il letto del fiume meno solido e soggetto ad erosione. Esempio tipico è l’Adda nell’attraversamento dell’abitato di Tirano dove il letto si è abbassato negli ultimi vent’anni di oltre un metro minando la stabilità degli argini. L’abbassamento è rilevabile dagli antichi accessi al fiume in parte ora murati. Recentemente è stato necessario eseguire opere di sottomurazione e numerose briglie per evitare l’ulteriore abbassamento dell’alveo. Analogo esempio di corrosione per l’alternarsi del regime delle acque lo si ha al vicino lago di Poschiavo dove l’abbassamento del lago nel periodo invernale, per sfruttamento idroelettrico, ha fatto franare la strada costiera che è stata ricostruita più a monte.

Nel complesso, comunque, la situazione in Valtellina sotto l’aspetto idrogeologico è soddisfacente e non abbisogna di notevoli e urgenti interventi ma di una continua cura e di una avveduta previsione per il futuro. Di ciò bisogna anche rendere atto all’intensa opera svolta dal Corpo Forestale dello Stato che ha saputo rendere stabili pressoché tutte quelle zone dove un tempo avvenivano, quasi con regolarità stagionale, frane e alluvioni. Speriamo siano diventate ormai inutili quelle scanalature che spesso si notano nei muri delle case, sulle strade dei nostri paesi, fatte per inserire delle tavole atte a convogliare e a frenare l’irruenza delle acque che, scendendo dalle valli minori, correvano un tempo lungo le strade dei paesi.

Renato Soltoggio

Info su Renato Soltoggio

Renato Soltoggio nato a Tirano il 23maggio 1941
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